martedì 17 novembre 2015

La vie en Rossi',singing in the rain di Manziana Pubblicato il 22 maggio 2012

La vie en Rossi',singing in the rain

di Manziana
La vie en Rossi'',singing in the rain
Aspettavo un risultato del genere da parte della ducati per condividere alcune riflessioni.
La gara di Le Mans ha messo in evidenza (finalmente) che le dichiarazioni di Rossi sui problemi della Ducati riguardano effettivamente problemi elettronici, ma non solo. Da recenti dichiarazioni di Preziosi è emerso come il sottosterzo sia passato in secondo piano. E La pista bagnata ha evidenziato come, con angoli di piega ridotti, i problemi della Ducati siano minori.
Andiamo con ordine. Tutti i test svolti da Ducati prima dell’inizio del campionato erano volti al primo sgrossamento della moto in sé. Test che hanno evidenziato i problemi di forte spinta al posteriore, e la difficoltà nello scaricare a terra la potenza espressa dal  Desmosedici bolognese.
Al secondo test di Sepang si sono visti aggiornamenti software sperimentati prima dai privati Barberà ed Abrahams ,sulle loro moto satellite e sulla GP12 vista poi a Valencia. Il perche dell’uso di tali moto è stato spiegato anche da Guido Meda in un commento ad un mio articolo: Ducati disponeva di due soli esemplari di GP12, rimasti però a Sepang.
Il test segreto da parte di Checa che aveva preceduto queste sessioni ufficiali serviva a cercare la posizione giusta per il perno forcellone. Il campione del mondo Superbike restò a labbra sigillate su quel test; fu invece Rossi a parlare del lavoro svolto a Jerez dallo spagnolo.
Ma veniamo a Sepang-2, dove oltre a provare il nuovo software del controllo di trazione vennero realizzati alcuni falsi serbatoi (nella Desmosedici il carburante è ora ospitato sotto la sella) per spostare indietro di qualche centimetro il peso del pilota. E infine, dai test di Jerez a cui ho assistito in occasione del mio compleanno è emerso un quadro abbastanza deludente.
Quell’equilibrio generale che sembrava assodato venne completamente stravolto da alcune mosse azzardate sull’assetto effettuate dal team di Rossi. E il risultato fu smentire, o comunque invalidare, tutte le esperienze maturate fino a quel giorno. Alla disperata ricerca di un assetto a misura di Rossi, il team ha provato di tutto sulla moto senza riuscire a farla rispondere come gradiva Valentino. Senza dargli quel feeling necessario a permettergli di spingere come vorrebbe poter fare.
In Qatar andò pure peggio: Rossi fu protagonista di uno sfogo abbastanza pesante in merito a come la moto non rispondesse ai suoi input. E soprattutto, su come spettasse a Ducati trasformare le sue indicazioni in soluzioni tecniche. A Jerez andò ancora peggio, ma da lì in poi il lavoro sull’assetto cambiò in maniera radicale.
Si partì dall’assetto di Hayden, migliorando un po’ il feeling, e Rossi accettò di doversi adattare alla Ducati e non viceversa, come se formalmente si fosse preso atto del fatto che le scelte di Preziosi, pur discutibili, fossero la strada migliore. In un’intervista, Alessio “Uccio” Salucci parlò di un assetto molto carico sul retrotreno (“da chopper”, testuali parole) che Rossi non gradiva ma che alla fine faceva la differenza. Rossi confermò come la strada da seguire fino a Le Mans fosse quella.
A cosa serve questo piccolo riepilogo? A ricordare come Rossi avesse detto che appena si apre il gas la Ducati reagisce in maniera eccessivamente brusca, rendendo difficilissimo scaricare la potenza a terra. Le soluzioni portate all’Estoril per i test del lunedì riguardavano alcuni dettagli del motore (ipotizzo – assi a camme con profilo meno estremo, ed albero motore più pesante) oltre ad una nuova gestione elettronica. Modifiche, volute da Preziosi e da lui stesso illustrate, volte a privilegiare la coppia ai bassi regimi sacrificando qualche cavallo in alto. In pratica, la strada seguita a suo tempo da Yamaha.

Sacrificare la potenza in alto, sfruttabile di fatto solo alle alte velocità, per migliorare l’accelerazione ai bassi regimi sarebbe la strada per contrastare le Honda, che hanno questi aspetti come punti a favore. Yamaha aveva dovuto affrontare gli stessi problemi di Ducati (aggressività della risposta motore), risolti poi intervenendo a livello software. Perché Ducati non sembra farcela? E perché sia Rossi che Preziosi continuavano a dichiarare come non si aspettassero cambiamenti radicali da queste migliorie?
Alcuni aspetti di questa vicenda sono in effetti incomprensibili. Lo spostamento all’indietro del pilota – criticato perché contro ogni logica rispetto ai problemi dichiarati – si dimostrò invece valido. Anche se, a tuttora, nessuno ha chiaro come riducendo il carico sull’avantreno se ne possa migliorare il feeling. Perché, inoltre, ora Rossi preferisce le gomme dure? Unico punto fermo: evidentemente il progetto di base di questa moto è corretto, visto che si parla di problemi non di telaio ma di erogazione della coppia.
Adesso provo un azzardo: a Sepang alcuni addetti ai lavori affermarono come le Honda e Yamaha ufficiali non “ratassero” più all’intervento del controllo di trazione, contrariamente a quanto avveniva sulla Ducati. A Jerez Iannone confermò questa impressione, ipotizzando l’uso della frizione da parte di Honda per ridurre la potenza erogata senza sacrificare l’accelerazione in uscita di curva e senza far “ratare” il motore.
Fin dallo scorso anno, Rossi sostiene come non riescano ad aprire il gas in piega quando e quanto gli altri, pena finire sparati in high-side come Barbera a Le Mans all’uscita dell’ultima curva, o da Hayden, che provava a spalancare e poi parzializzare – a quanto pare inutilmente.

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foto gpone

A Le Mans la pioggia ha livellato un po’ la situazione. Pieghe meno accentuate, potenza ridotta e apertura più cauta dell’acceleratore, con più tempo per rimettere la moto dritta o quasi – di fatto, una situazione che annullava i vantaggi tecnici degli avversari. Qui è il pilota in sella a dover aprire il gas, ma aspettando di avere appunto più gomma a terra, e non solo un fazzolettino di spalla.
Il problema della Ducati? Non poter aprire in piega, pena un vero e proprio scatto in avanti della moto, che rende la guida una lotta, non certo un divertimento. Un giornalista specializzato in tecnica (un giornalista vero, non come me…) ipotizzava una spiegazione relativamente plausibile: i sistemi di iniezione delle moto giapponesi sono collegati al controllo di trazione con un sistema molto più rapido di quello Ducati, con doppio iniettore (uno soprafarfalla e uno sotto). Gestiti separatamente, i due corpi farfallati potrebbero dosare micro metricamente la benzina, parzializzando a priori l’apertura. 
Adesso andiamo sul difficile: diciamo che i giapponesi siano riusciti a calibrare la quantità giusta da far arrivare ai cilindri, dosata in anticipo sulla richiesta dell’acceleratore incrociata con parametri stabiliti dal controllo di trazione, grazie all’uso di due iniettori indipendenti per ciascun cilindro. Questo sarebbe sufficiente a capire come mai i motori Honda e Yamaha non “ratino” come la Ducati quando il TC entra in funzione. Ducati è l’unica ad utilizzare ancora il taglio di potenza agendo sull’accensione, mentre i giapponesi sono andati oltre, riuscendo a dosare la potenza attraverso l’erogazione della benzina invece che attraverso la sua combustione.
Questa è l’ipotesi di Neil Spalding, che in effetti confermerebbe il discorso di Rossi: difficile risolvere il problema a breve. Rifare da capo un impianto di iniezione in tempi brevi con caratteristiche tali da rendere possibile questo tipo di controllo non è certo semplice, se Spalding ha ragione. Il problema, come evidenzia l’impiego di sistemi simili sulle moto stradali (come l’APRC che Aprilia monta sulle sue Tuono ed RSV4) è che, fisiologicamente, agire sugli iniettori non offre, con le tecnologie attualmente “di pubblico dominio”, una prontezza sufficiente. Ma il motivo non sta nell’elettronica, software o hardware che dir si voglia, ma in una questione “fisiologica” del motore: la velocità dei gas in ingresso, e dunque della miscela, non è sufficiente ad agire in reazione ad un allarme del controllo di trazione. A meno che il suddetto controllo di trazione non agisca in maniera predittiva…
Il tutto ha comunque una sua logica, che rende comprensibile come gli ulteriori step necessari a mettere in pista la “vera” GP12 saranno diluiti nel tempo fino a Laguna Seca. Mentre scriviamo, Ducati è in pista al Mugello nel primo dei test che si dipaneranno fra maggio, giugno e il lunedì dopogara del Mugello. Cosa si prova? Tanto per cominciare, tutte le modifiche che erano state portate ad Estoril, ma che per colpa della pioggia i piloti ufficiali non hanno potuto provare.
Resta in piedi il discorso motore nuovo, più leggero, che incorporerà evidentemente le modifiche testate al Mugello, se dovessero rivelarsi efficaci. Le ultime dichiarazioni parlano di parti per motore e ciclistica, ma se come dicono tutti i diretti interessati non ci si aspetta grandi cose, evidentemente la “roba forte” arriverà più avanti, confermando ancora una volta quanto dicevo a proposito della GP12: attualmente è un laboratorio su cui provare le evoluzioni che dovrebbero portare la moto definitiva ad avvicinarsi alle altre. Purtroppo, non avverrà subito.
Prossima tappa: Barcellona. Possiamo facilmente prevedere che, se non dovesse piovere, le Ducati resteranno ancora ad un distacco di circa un secondo dai migliori. Senza poter aprire il gas per scaricare a terra la cavalleria ad un angolo di piega pari a quello degli altri, la maggior coppia in basso cercata (e speriamo trovata) negli ultimi step servirà, unita al nuovo software, a dare un po’ più d’accelerazione in uscita di curva. Solo a Silverstone, però, sapremo se tali modifiche si riveleranno davvero efficaci.
Stavo dimenticando: il Rossi in condizioni di lottare per le prime posizioni è o non è uno spettacolo per tutti?

A Malaga aspettiamo con ansia il responso del dottore del mugello e del chirurgo don Filippo 
(il don non e' per la estrema unzione)

Su twitter un amico suggerisce
A malaga c'è il sole, al Mugello piove...... purtoppo

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